Palazzo Caffarelli dedica una mostra a Filippo Lippi (Firenze, 1406 – Spoleto, 1469) e a suo figlio Filippino Lippi (Prato, 1457 – Firenze, 1504), pittori e disegnatori tra i protagonisti del Rinascimento fiorentino. Ai dipinti e ai disegni fa da corredo una selezione di documenti d’archivio, in una narrazione di carattere non solo artistico, ma anche biografico.
Il percorso espositivo, articolato in sette sale, segue un criterio cronologico. Filippo Lippi si forma nel convento dei carmelitani di Santa Maria del Carmine a Firenze, dove diventa frate e ha l’opportunità di studiare gli affreschi della Cappella Brancacci. Le innovazioni di Masolino e di Masaccio ispirano il giovane Filippo, che acquisisce gli strumenti per una moderna concezione dei volumi e dello spazio pittorico concepito prospetticamente. La Madonna del Trivulzio è opera emblematica dello spirito ironico del pittore, che talvolta inserisce elementi caricaturali e mondani all’interno di soggetti d’arte sacra. Attraverso le parole del Vasari si tramanda la storia d’amore di Filippo Lippi e Lucrezia Buti. La fanciulla abbandonò il monastero agostiniano di Santa Margherita a Prato, fuggendo con il frate pittore: dalla coppia nacque Filippino.
In un documento del 1472, Filippino Lippi è indicato come pittore all’interno della bottega dell’allievo di suo padre: Sandro Botticelli. I due tondi dell’Annunciazione della Vergine, realizzati nel 1483 per il palazzo comunale di San Gimignano, testimoniano il suo stile originale, che unisce l’attenzione per i volumi e per lo spazio prospettico alla sinuosa linea di contorno del Rinascimento umbratile. Tra il 1488 e il 1493 Filippino soggiorna a Roma, dove elabora un linguaggio pittorico “bizzarro”, ispirato alle grottesche, alle architetture classiche e alle fisionomie e agli abbigliamenti antichi. In quello stesso periodo il pittore riceve l’incarico di affrescare la Cappella Carafa nella basilica di Santa Maria sopra Minerva. A tali affreschi, riprodotti su fotografie di grande formato, è dedicata una sala, illuminata attraverso il contrasto tra luce e ombra.
L’itinerario della mostra è introdotto da una linea del tempo, che incrocia le biografie di Filippo e di Filippino Lippi. Nell’allestimento, accanto a una tonalità di grigio scuro si alternano un blu denim chiaro, un verde celadon e un rosa antico. Nella grafica della mostra, gli autoritratti dei due pittori sono accompagnati da una frase che Filippo Lippi avrebbe pronunciato a Cosimo de’ Medici: “le eccellenze degli ingegni rari sono forme celesti e non asini vetturini”.