La mostra estende al lavoro di artiste viventi il campo di indagine di “Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956-1976”, esposizione tenutasi nel 2023 presso la Haus der Kunst di Monaco di Baviera: diciannove ambienti ideati esclusivamente da artiste donne offrono al visitatore un’esperienza immersiva, permettendo di conoscere un genere artistico poco conosciuto anche a causa del suo carattere spesso effimero.
Lungo il percorso espositivo l’esperienza fisica diventa una forma di conoscenza in grado di trasformare il visitatore che interagisce con i diversi ambienti. L’architettura del MAXXI, progettata da Zaha Hadid e inaugurata proprio nel 2010, non si limita al ruolo di contenitore, diventando anch’essa un’opera ambientale: a differenza della mostra di Monaco, focalizzata su una ricostruzione storico-artistica, “Ambienti 1956-2010” comporta un adattamento delle opere esposte allo spazio preesistente, in stretto dialogo con il visitatore e – più in generale – con l’uomo contemporaneo.
Secondo le parole di Andrea Lissoni, già curatore dell’esposizione di Monaco, questa mostra comunica un messaggio più che mai attuale alla nostra società, abituata a creare e a percepire alter-ego all’interno di “ambienti” offerti dalla realtà virtuale, quali i social-media. “Ambienti 1956-2010” mette al centro l’esperienza fisica come forma di conoscenza invitando i visitatori a lasciarsi trasformare dall’incontro con le opere e ad ascoltare il proprio corpo e le sensazioni che suggerisce.
Di ambiente in ambiente
In piazza Alighiero Boetti si è accolti dall’opera Don’t Miss a Sec’ di Monica Bonvicini, che solleva interrogativi sul limite tra pubblico e privato. All’interno del museo inizia un percorso espositivo – articolato lungo la Sala Gian Ferrari e le Gallerie 2, 3 e 4 – visitabile a prescindere da criteri cronologici o tematici. Red (Forma di una zanzariera) di Tsuruko Yamazaki (1956) esorta il pubblico a entrare all’interno di una tenda sospesa in vinile rosso sospesa, che ricorda le tradizionali zanzariere utilizzate in Giappone.
Nell’attraversare Alleway, Lohar Chawl di Nalini Malani il passante, sfiorando cinque fragili fogli di Mylar ritraenti abitanti dell’area povera di Lohar Chawl, è indotto a percepire la fragilità delle classi meno abbienti. In Ambiente spaziale: “Utopie” di Lucio Fontana e di Nanda Vigo, realizzato in occasione della XIII Triennale di Milano, il visitatore può sdraiarsi, avvolto da un soffice spazio onirico.
All’uscita dell’ascensore nella Galleria 4, si entra ne Il termine “affine” attrae la nostra attenzione anche se in realtà non significa nulla di Esther Stocker, ambiente e al contempo dipinto astratto: secondo le stesse parole dell’artista, si tratta di un esempio di “geometria esistenziale”, un sistema di coordinate dove è il visitatore a definire la prospettiva.
Il percorso espositivo è arricchito da Ambiènte Archìvio, una sezione di approfondimento realizzata dal Centro Archivi Arte del MAXXI che racconta l’evoluzione della ricerca spaziale attraverso le diverse declinazioni del termine ambiente dal 1949 al 2010.
Senza pubblico, non esiste ambiente
Le opere esposte, ideate a partire da diverse interpretazioni del concetto di ambiente, sono accomunate dall’esigenza di interagire con almeno un individuo: come ha scritto Francesco Stocchi, uno dei curatori della mostra e nuovo direttore artistico del MAXXI, un ambiente “richiede la presenza del pubblico per esistere”.
Immagine di anteprima: Nanda Vigo, Ambiente Cronotopico, 1967-2003. Foto © Giorgio Benni