In passato ha curato diverse mostre temporanee: qual è la sua idea di “messa in scena”? Questa esperienza è replicabile anche nella gestione di un museo?
Una mostra può avere una componente teatrale più o meno forte nell’allestimento, ma credo che la sua importanza e il suo peso debbano dipendere dal contenuto e dal valore dell’esposizione. Una lettura scenografica degli allestimenti può essere utile anche nelle collezioni permanenti, ma in questo caso occorre prestare maggiore attenzione: l’approccio nei confronti del pubblico deve essere diverso. Nell’allestimento di una mostra temporanea è possibile osare più che in quello di una collezione permanente, dal momento che la natura effimera dell’evento è di per sé legata a una spiccata teatralità.
Nell’ambito della “messa in scena” di uno spazio, la luce ricopre sempre un ruolo fondamentale. Quando ragiono sull’illuminazione di un’opera d’arte antica, per prima cosa cerco di comprendere quale ruolo abbia ricoperto la luce negli intenti dell’autore. Tale ricerca non deve necessariamente portare a emulare l’approccio alla luce dell’artista del passato: si tratta di un punto di partenza, utile a trovare soluzioni interpretative.
In qualità di direttore di Palazzo Ducale a Mantova, può parlarci dei futuri progetti per la valorizzazione del complesso museale?
Un importante progetto di valorizzazione sarà quello del rifacimento dell’impianto illuminotecnico per la Camera Picta, o Camera degli Sposi, che contiamo di realizzare agli inizi del 2025, con lieve ritardo rispetto al “centenario” dell’ambiente, le cui decorazioni Andrea Mantegna concluse nel 1474, ovvero 550 anni fa. Il progetto, a cura del light designer Francesco Murano, faciliterà la lettura di questo capolavoro del Rinascimento italiano, migliorandone le condizioni conservative e favorendone una ancor più soddisfacente esperienza di fruizione da parte del pubblico. Posso altresì anticipare che in primavera avremo una mostra dedicata a un’artista mantovana, Diana Scultori Ghisi (1547-1612), forse la prima donna a essersi cimentata con la tecnica dell’incisione, ottenendo risultati ammirevoli per i suoi contemporanei come per noi.
Come nuovo direttore ad interim del complesso monumentale della Pilotta di Parma ha affermato di voler “aprire il museo” ai più giovani. Come pensa di riuscire a ottenere un tale risultato?
Occorre comunicare ai giovani che il museo non è necessariamente un luogo ermetico, paludato e retorico: il racconto della sua storia e delle sue collezioni può diventare coinvolgente, se pensato ad hoc e comunicato nella maniera corretta. Nell’ambito della comunicazione museale, la maggiore difficoltà spesso consiste nel mantenere un dialogo con le tante tipologie di “pubblico” esistenti, che tra loro si distinguono per aspettative e interessi. Per questo motivo, è necessaria una mediazione culturale che tenga conto della varietà nella composizione delle categorie sociali contemporanee.
I ragazzi di oggi hanno una base culturale e formativa più diversificata rispetto al passato: una possibile soluzione per “aprire i musei” ai più giovani è quella di immaginare eventi che offrano spazi per attività non strettamente museali, pur sempre con riguardo per la storia della sede espositiva e delle sue collezioni.
Lorenzo Paglioriti