Palazzo Buontalenti a Pistoia ospita la mostra “’60 Pop Art Italia”, promossa dalla Fondazione Pistoia Musei e dalla Fondazione Caript e curata da Walter Guadagnini, uno dei massimi studiosi italiani della Pop Art. La rassegna si compone di oltre 60 opere di autori italiani, attivi non solo nella capitale, ma anche in altre località significative, quali Milano, Torino, Palermo e la stessa Pistoia; nell’esposizione viene altresì valorizzato il ruolo femminile all’interno della Pop Art, con l’arte di Giosetta Fioroni, Titina Maselli, Laura Grisi, Marisa Busanel e Anna Comba. Il titolo della mostra ha un’accezione ambivalente: “sessanta” non indica soltanto il periodo in cui la Pop Art si è diffusa in Italia, ma anche gli anni passati dalla Biennale di Venezia del 1964, evento cruciale che vide la partecipazione di Jasper Johns, Jim Dine e Claes Oldenburg al padiglione statunitense e il premio a Robert Rauschenberg per la pittura.
Per le città d’Italia, da Venezia a “The End”
L’itinerario della mostra, suddiviso in undici sezioni, attraversa le città italiane più significative per la diffusione della Pop Art: tutto inizia da Venezia con “La Biennale e il mito americano”, in cui si racconta l’esplosione della cultura pop statunitense in Italia, dovuta anche alla spinta propulsiva delle Biennali del 1964 e del 1966; le successive quattro sezioni sono dedicate a Roma e alla Scuola di Piazza del Popolo, con le opere di Mario Schifano, Tano Festa, Giosetta Fioroni e Franco Angeli; dopo aver ammirato le opere della Scuola di Pistoia, composta dal quartetto Roberto Barni, Umberto Buscioni, Adolfo Natalini e Gianni Ruffi, si giunge a Torino, tra la galleria di Gian Enzo Sperone e i “Quadri specchianti” di Michelangelo Pistoletto, per poi passare a Milano e alla Triennale del 1964 (curata da Umberto Eco e da Vittorio Gregotti), con le opere di Enrico Baj, Valerio Adami e Fabio Mauri; agli ambiti di Firenze, Bologna e Genova segue quello di Palermo, dove le opere di Pino Pascali e Mario Ceroli furono esposte insieme a quelle di Gerard Richter; la sezione “The End” chiude con il 1968 la storia della Pop Art italiana, il cui linguaggio perde l’ironia del periodo del “boom economico” e diviene – nel contesto dei movimenti anticapitalistici dell’epoca – esplicitamente politico, come esemplificato dalla salma di Che Guevara raffigurata da Fabio Mauri.
Ritorno agli anni ’60
Cesare Mari di PANSTUDIO architetti associati e Giuseppe Mestrangelo di Light Studio, curatori – rispettivamente – del progetto allestitivo e illuminotecnico, hanno progettato un sistema di luci per riprodurre “artificialmente” la condizione in cui le opere venivano viste negli anni Sessanta, quando l’illuminotecnica non era ancora avanzata e gli ambienti venivano illuminati per lo più dalla luce naturale. Nella mostra anche la progettazione grafica (a cura di Metilene – Design e Comunicazione) ricopre un ruolo di primaria importanza: il percorso espositivo si apre con una linea temporale che evidenzia gli avvenimenti più significativi dal 1960 al 1968, mentre colori diversi distinguono le città che compongono l’itinerario della mostra; numerose fotografie dell’epoca, stampate su grandi formati, contribuiscono a raccontare gli eventi e i personaggi determinanti per lo sviluppo della Pop Art italiana.
Nella sala conclusiva, volta a raccontare “la fine” della Pop Art, colpisce il contrasto tra le opere italiane, sintomatiche dei malumori politici di fine anni Sessanta, e le immagini psichedeliche di The Flowers e Cow di Andy Warhol, dove la critica sociale rimane implicita: il termine di un viaggio appassionante, che induce a ritornare a un passato ancora oggi attuale.
Lorenzo Paglioriti