Palazzo Venier dei Leoni ospita una rassegna dedicata a Marina Apollonio, esponente dell’arte ottica e cinetica: le sue opere furono esposte e collezionate da Peggy Guggenheim sin dal 1968. Circa 100 tra dipinti, sculture e disegni ripercorrono la carriera dell’artista dal 1963 a oggi, mettendo in luce – anche attraverso l’esposizione di materiali d’archivio – aspetti meno conosciuti della sua produzione. Apollonio ha realizzato appositamente per la mostra due opere inedite: l’ambiente Entrare nell’opera e l’installazione musicale Endings, nata dalla collaborazione con il compositore Guglielmo Bottin.
Un buon compasso
Le prime sale del percorso espositivo offrono una panoramica sulle ricerche della Apollonio, nate negli anni Sessanta in sintonia con la giovane avanguardia programmata, attirata dal linguaggio oggettivo della geometria. L’artista predilige la figura del cerchio, che – attraverso un processo di progettazione matematica e di sperimentazione tecnica su diversi supporti – esce dalla sua bidimensionalità. La percezione spaziale è alterata da una pulsione “attrattiva-espansiva e fluido-elastica”, secondo la definizione della stessa Apollonio. A chi le chiedeva perché nella sua arte ritornasse ossessivamente la figura del cerchio, l’artista rispondeva ironicamente: “avevo un buon compasso”.
Rilievi, Gradazioni, Spirali, Strutture
Le sale successive sono dedicate alle strutture. I Rilievi, installazioni ibride dove il metallo riflettente interagisce con il colore e il supporto, catturano i cambiamenti della luce e prendono vita con il movimento dello spettatore. Come i Rilievi, anche le Gradazioni, definite dalla stessa Apollonio “unità circolari visivo cromatiche”, sono spesso concepite a coppie, quasi dittici dalla struttura inversa, speculare e cromatica. D’altra parte, nelle Spirali e nelle Strutture, composizioni di cerchi d’acciaio o alluminio sovrapposti, la percezione dell’opera muta costantemente in funzione del movimento dell’oggetto e/o del visitatore.
Endings
A partire dalla metà degli anni Settanta, il panorama artistico internazionale iniziò a perdere interesse per l’arte ottica e cinetica. Marina Apollonio continuò regolarmente a esporre, iniziando a sperimentare la tecnica tessile con materiali diversi come la lana e il tessuto. Nei primi anni Duemila la sua opera ha conosciuto una rinnovata attenzione da parte del pubblico e della critica, in particolare grazie alle mostre “L’Œil moteur. Art optique et cinétique, 1950-1975” a Strasburgo (2005) e “Op art” a Francoforte (2007). Nell’ultima sala, Fusione circolare dialoga con l’installazione musicale Endings sia dal punto di vista visivo che dal punto di vista concettuale. L’opera è riprodotta sulla superficie di un vinile e un giradischi suona la composizione di Guglielmo Bottin. Il testo musicale emerge dall’“end groove”, ovvero dal cerchio chiuso in cui entra la puntina quando giunge al termine del disco. Da sedici dischi diversi sono stati registrati altrettanti anelli sonori di identica durata: 1,33 secondi, il tempo di una rivoluzione completa del disco. Percezione visiva e percezione sonora si incontrano, finendo per comporre un’immagine sonora dell’infinito, “opera aperta” a variazioni e interpretazioni sempre nuove.